Cassazione: tassazione dei proventi nelle associazioni sportive dilettantistiche
I proventi da stipetti, gettoni per l'illuminazione e inviti ai non soci non rientrano tra le attività strettamente funzionali agli scopi sociali (Cassazione - ordinanza 02 ottobre 2025 n. 26542, sez. trib.)
Cassazione: tassazione dei proventi nelle associazioni sportive dilettantistiche
I proventi da stipetti, gettoni per l'illuminazione e inviti ai non soci non rientrano tra le attività strettamente funzionali agli scopi sociali (Cassazione - ordinanza 02 ottobre 2025 n. 26542, sez. trib.)
Nel caso di specie, con sentenza della CTR veniva rigettato l'appello proposto dall'associazione sportiva dilettantistica avverso la sentenza della CTP, la quale aveva a sua volta respinto il ricorso proposto dalla contribuente contro l'avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle Entrate accertava maggiori imposte dirette, IVA e sanzioni.
L'amministrazione contestava che l'associazione sportiva dilettantistica svolgesse attività commerciale, percependo compensi derivanti, tra l'altro, dal noleggio degli stipetti degli spogliatoi, vendita di gettoni per l'illuminazione e inviti ai non soci. Pertanto, secondo l'Ufficio, l'associazione non poteva beneficiare delle agevolazioni di cui alla Legge n.398/1991. I suddetti i proventi venivano quindi equiparati a quelli derivanti da attività commerciale, con conseguente rideterminazione delle relative imposte e applicazione delle sanzioni.
La CTR confermava la decisione resa dal giudice di prime cure ritenendo, anche sulla base dello statuto dell'associazione, che la messa a disposizione degli associati degli stipetti/armadietti per il corrispettivo di 100 euro all'anno non fosse un'attività strettamente funzionale al conseguimento di scopi societari, bensì a scopo di lucro. Il giudice, inoltre, stabiliva che i gettoni per l'energia elettrica consumata dovessero essere tassati come corrispettivi per attività commerciale, non avendo la contribuente fornito la prova, in primo grado, che non eccedessero i costi di diretta imputazione.
Avverso la sentenza d'appello la contribuente ha proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui replica l'Agenzia delle entrate con controricorso.
Con il primo motivo, veniva denunciata la violazione dell'art. 148, co. 3, DPR n. 917/1986 per avere la CTR escluso che la messa a disposizione degli associati di una zona del circolo per la custodia dei propri effetti personali, le prestazioni effettuate conseguenti a inviti dati ai soci per far accedere al circolo giocatori di tennis non associati, nonché l'illuminazione notturna dei campi da tennis, possano configurare attività strettamente funzionali al conseguimento degli scopi sociali. In particolare, la ricorrente contestava che i proventi correlati all'uso degli stipetti possano costituire introiti commerciali, come tali assoggettabili a tassazione, in quanto sarebbero stati conseguiti in diretta connessione al raggiungimento dello scopo sociale, rilevando come tale attività non possa essere ricondotta ad alcuna delle eccezioni elencate nell'art. 148, co. 4, TUIR. Inoltre, la prestazione non potrebbe essere qualificata come oggetto di un contratto di deposito, data l'assenza di consegna dei un bene, di obbligo di custodia, di responsabilità in caso di furto o danneggiamento della struttura, e di restituzione. Il motivo è inammissibile e infondato. La CTR nel confermare la decisione di primo grado, ha ritenuto corretta la ricostruzione dell'Ufficio e, con motivazione ampia e articolata, ha valutato che nello statuto dell'associazione sono stabilite le finalità dell'associazione e da ciò può stabilirsi che la concessione di stipetti agli associati, e gli inviti a non associati sono attività svolte al di fuori delle finalità istituzionali. La messa a disposizione dei propri associati di una zona del circolo per la custodia dei propri effetti personali, dietro il pagamento di corrispettivi specifici (euro 100 per anno) deve considerarsi rientrare in una disciplina commerciale indipendentemente da eventuali clausole restrittive delle obbligazioni tipiche del contratto di deposito.
Le doglianze della ricorrente si risolvono in una mera contestazione della valutazione operata dal giudice degli elementi già sottoposti al vaglio del sindacato in primo e in secondo grado, ossia in una richiesta di revisione delle valutazioni di merito confermate dal giudice di seconde cure. A fronte all'accertamento che in giudizio non sono stati introdotti elementi contrari decisivi, la ricorrente non contesta in modo specifico tale accertamento, ma chiede in questa sede un riesame del materiale probatorio già prodotto, riesame estraneo alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità. In tal senso, trova accoglimento l'eccezione di inammissibilità della controricorrente, in ordine al non consentito sindacato in fatto che la ricorrente surrettiziamente invocherebbe con il vizio lamentato, in quanto la ricorrente richiede un apprezzamento di circostanze fattuali in merito al ricercato nesso con il fine istituzionale delle attività in concreto esercitate.
Con il secondo motivo, la ricorrente denunciava l'omessa motivazione in merito all'assoggettamento a tassazione degli incassi legati agli inviti ai non soci, lamentando l'insussistenza di qualsiasi motivazione. Con riferimento a quest'ultimo profilo, la censura è innanzitutto infondata quanto alla deduzione di difetto assoluto di motivazione che, invece, sussiste come del resto riconosce la stessa censura che la impugna come vizio motivazionale e perché, anche se destinatario dell'obbligo di pagamento per l'estraneo è il socio, comunque, non per questo l'importo viene incassato ed è destinato al conseguimento di scopi sociali.
Il motivo poi è inammissibile per doppia conforme, in quanto la ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo e secondo grado siano state tra loro diverse. La censura è, altresì, inammissibile perché il vizio motivazionale deve essere dedotto censurando l'omesso esame circa un fatto decisivo.
Con il terzo motivo, la ricorrente lamentava la violazione dell'art. 58, co. 2, DLgs n. 546/1992 per avere la CTR ritenuto tardiva la prova fornita nel ricorso in appello circa la non eccedenza dei corrispettivi rispetto ai costi sostenuti. Il motivo è fondato.
La Corte ha più volte ribadito che nel processo tributario, l'art. 58, co. 2, DLgs n. 546/1992, consente la produzione di nuovi documenti anche in appello, sia se aventi valore probatorio, sia se rilevanti come elementi indiziari idonei a fondare una presunzione semplice. Non vi sono ragioni per discostarsi nella fattispecie da tale consolidata interpretazione e dalla motivazione della sentenza impugnata non solo non emerge alcun riferimento alla documentazione prodotta in appello dall'odierna ricorrente, né risulta alcuna argomentazione circa l'inidoneità della stessa a provare che i corrispettivi dei gettoni non eccedevano i costi di diretta imputazione, ma il giudice di seconde cure erra in diritto a ritenere che la prova dovesse essere fornita esclusivamente nei legittimi tempi del processo di primo grado. È evidente che la CTR, ritenendo così inammissibile la produzione documentale intervenuta in appello, non ha fatto corretta applicazione della norma posta a base del motivo in disamina, come interpretata dalla costante giurisprudenza di legittimità.
Il quarto motivo, di omessa pronuncia sulla domanda subordinata di riduzione delle imposte, è rigettato essendo rinvenibile una pronuncia implicita di rigetto nella decisione di merito adottata dal giudice in senso pienamente sfavorevole all'associazione.
Infine, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la controversia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado in diversa composizione, per un'ulteriore esame in relazione al profilo, a quelli rimasti assorbiti, e per la liquidazione delle spese di lite.
di Ilia Sorvillo
Fonte normativa
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