Fusione con retrodatazione fiscale: sì al test di vitalità per il periodo anteriore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza dell'8 ottobre 2025 n. 27058, è intervenuta sulla normativa antielusiva per il riporto delle perdite fiscali nell’ambito di un'operazione straordinaria di fusione societaria
Fusione con retrodatazione fiscale: sì al test di vitalità per il periodo anteriore
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza dell'8 ottobre 2025 n. 27058, è intervenuta sulla normativa antielusiva per il riporto delle perdite fiscali nell’ambito di un'operazione straordinaria di fusione societaria
La controversia trae origine da un avviso di accertamento notificato dall'Agenzia delle Entrate nei confronti di una società risultante da un'operazione di fusione, con cui venivano recuperati a tassazione maggiori redditi ai fini IRES e IRAP a seguito dell'indebito riporto di perdite da fusione avente efficacia reale, in particolare di quelle pregresse della società incorporata, nonché di ulteriori perdite maturate nel periodo di retrodatazione degli effetti fiscali dell'operazione.
Venivano altresì disconosciuti costi non emergenti da fatture da ricevere relative all'anno precedente, né risultavano effettuate le relative rettifiche nelle variazioni fiscali nell'anno d'imposta oggetto di verifica.
La CTP accoglieva i ricorsi, ritenendo legittime le deduzioni delle perdite pregresse della società incorporata; quanto ai costi dedotti e disconosciuti, riteneva che sussistesse una deroga al principio di competenza, nei casi in cui, nel relativo periodo, non sussistessero ancora i requisiti di certezza e determinabilità del relativo ammontare.
La CTR, adita in sede d'appello dall'Agenzia, confermava la sentenza di primo grado, per cui l'Agenzia propone ricorso in cassazione affidato a due motivi, a fronte del quale la contribuente resiste a mezzo di controricorso.
Con il primo motivo l'Agenzia deduceva che la CTR avrebbe errato nel condividere la tesi della contribuente, secondo la quale il "test di vitalità" andava limitato all’esercizio antecedente la fusione e non esteso a quello in cui è avvenuta la fusione. Il motivo è fondato.
L'art. 172, co. 7, DPR 22 dicembre 1986, n. 917, nel testo applicabile ratione temporis alla presente controversia, stabilisce che le perdite delle società che partecipano alla fusione, compresa l'incorporante, possono essere portate in diminuzione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante per la parte del loro ammontare che non ecceda l'ammontare del rispettivo patrimonio netto quale risulta dell'ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di fusione, senza tener conto dei conferimenti e versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce il bilancio o la situazione stessa. Tra i suddetti versamenti non si comprendono i contributi erogati a norma di legge dallo Stato o da altri enti pubblici. È stato, inoltre, posto un ulteriore limite alla possibilità di dedurre le perdite fiscali pregresse, connesso al fatto che la società sia, sostanzialmente, una realtà operativa e non una "bara fiscale".
La prova dell'operatività è legata ad alcuni componenti di reddito del conto economico, riferiti all'esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata. A tale fine deve risultare un ammontare di ricavi e di proventi dell'attività caratteristica, nonché un ammontare delle spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori (c.d. "test di vitalità"). In caso di retrodatazione degli effetti fiscali della fusione, il medesimo test deve essere effettuato anche per il periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia della fusione. In tal caso, l'ammontare delle suddette poste relativo al suddetto intervallo temporale deve essere ragguagliato ad anno per permettere che il confronto con la media degli ultimi due esercizi precedenti sia effettuato tra dati omogenei.
La ratio della relativa disciplina, secondo la Corte, persegue l'obiettivo di evitare l'incorporazione di società inattive a fini elusivi e la fusione di "scatole vuote", prive di ogni concreta operatività. La norma prevede, altresì, un meccanismo volto a rendere più penalizzante l'utilizzo delle perdite fiscali al fine di evitare possibili comportamenti elusivi, in virtù dei quale, se le azioni o quote della società la cui perdita è riportabile erano costituite nella società incorporante o da altra società partecipante alla fusione, la perdita non è comunque ammessa in diminuzione fino a concorrenza dell'ammontare complessivo della svalutazione di tali azioni o quote effettuata ai fini della determinazione del reddito della società partecipante o dell'impresa che le ha ad essa cedute dopo l'esercizio al quale si riferisce la perdita e prima dell'atto di fusione.
La Suprema Corte ha altresì osservato che: in tema di reddito imponibile di società partecipanti ad una operazione di fusione, la disciplina contenuta nell'art. 172, co. 7, TUIR, posta a tutela dal rischio di operazioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi esclusivamente o prevalentemente elusivi, costituisce una regola "circolare", che, mediante l’identificazione di criteri legali presuntivi ma specificamente predeterminati, assicura all'operatore economico la conoscenza degli effetti della fusione sotto il profilo fiscale ed è in ogni caso disapplicabile qualora sia dimostrato che la società partecipante all'operazione, pur con perdite fiscali incompatibili con la deducibilità dal reddito della società risultante dalla fusione, non è una "scatola vuota". È oltremodo evidente che tale finalità sarebbe agevolmente elusa ove non si prendesse in considerazione, in caso di retrodatazione, anche il periodo che intercorre tra l'inizio del periodo d'imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione.
Nella caso di specie, si verte in un'ipotesi di fusione con retrodatazione dei suoi effetti fiscali, ed è pacifico che il test di vitalità non sia stato superato per il periodo compreso tra l'inizio dell'esercizio e la data di efficacia dell'operazione. Essendo assenti le condizioni di operatività richieste, va escluso il diritto al riporto delle perdite pregresse, pertanto il primo motivo di ricorso appare meritevole di accoglimento.
Con il secondo motivo, l’Agenzia denunciava l’omessa pronuncia sul recupero dei costi di competenza, nell'atto di appello specificamente censurato. La CTR non si è in alcun modo pronunciata, senza che possa rilevare l'osservazione contenuta in controricorso per cui si sarebbe di fronte a una motivazione per relationem a quella di primo grado. Infatti, non sussiste alcun passaggio della pronuncia da cui, anche solo implicitamente, si possa dedurre che la CTR abbia considerato il motivo in parola, la cui delibazione va perciò rimessa al giudice a quo.
In definitiva, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado che, in diversa composizione, si adeguerà ai principi qui espressi e provvederà altresì alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
di Ilia Sorvillo
Fonte normativa
Approfondimento