lunedì, 15 settembre 2025 | 12:21

Spese di sponsorizzazione in favore di ASD: prevale la presunzione legale assoluta

La presunzione legale assoluta esclude qualsiasi ulteriore indagine circa la natura della spesa contestata, la sua inerenza all'attività d'impresa e la sua congruità (Cassazione - ordinanza 19 agosto 2025 n. 23531, sez. trib.)

Spese di sponsorizzazione in favore di ASD: prevale la presunzione legale assoluta

La presunzione legale assoluta esclude qualsiasi ulteriore indagine circa la natura della spesa contestata, la sua inerenza all'attività d'impresa e la sua congruità (Cassazione - ordinanza 19 agosto 2025 n. 23531, sez. trib.)

Nel caso di specie, la Direzione Provinciale dell'Agenzia delle entrate emetteva, nei confronti di un agente di commercio operante nel settore della vendita di esplosivi industriali, un avviso di accertamento con il quale disconosceva la deducibilità delle spese di sponsorizzazione dallo stesso sostenute in favore dell'associazione sportiva dilettantistica, operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA.

Il contribuente impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla CTP, che respingeva il suo ricorso; la decisione veniva tuttavia successivamente riformata dalla CTR, la quale, in parziale accoglimento dell'appello della parte privata, annullava l'atto impositivo limitatamente al recupero delle spese di sponsorizzazione, ritenendo operante la presunzione legale assoluta della natura pubblicitaria dei relativi costi, nonché della loro inerenza e congruità.

Avverso questa sentenza, l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Con il primo motivo di ricorso, l'Ufficio critica l'impugnata sentenza per aver riconosciuto la deducibilità delle spese di sponsorizzazione dichiarate dal contribuente per l'anno d'imposta in verifica, pur in assenza di prova dell'effettivo svolgimento di attività promozionale da parte del soggetto sponsorizzato, nonché dell'inerenza e congruità dei costi sopportati. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Secondo un consolidato orientamento di legittimità, l'art. 90, co. 8, L n. 289/2002, applicabile ratione temporis alla presente vertenza, stabilisce una presunzione assoluta di deducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute a favore delle associazioni sportive dilettantistiche, la quale riguarda sia l'inerenza sia la congruità dei relativi costi e non può essere messa in discussione dall'Amministrazione Finanziaria sulla base di una loro presunta antieconomicità. Tuttavia, è stato precisato che tale presunzione opera solo laddove risultino soddisfatti i seguenti requisiti: il soggetto sponsorizzato sia una compagine sportiva dilettantistica; sia rispettato il limite quantitativo di spesa; la sponsorizzazione miri a promuovere l'immagine e i prodotti dello sponsor; il soggetto sponsorizzato abbia effettivamente posto in essere una specifica attività promozionale.

Al riguardo, i giudici regionali hanno accertato che: l'importo complessivo dei costi di sponsorizzazione sopportati dal contribuente rientrava nel limite di spesa previsto dal citato art. 90; l'esborso del denaro non era contestato ed era provato dagli assegni emessi dal contribuente; non era in contestazione ed era comunque provata l'esecuzione del servizio di pubblicità da parte della società sponsorizzata, come evincibile dalle fotografie allegate; non era infine contestato che la società sponsorizzata fosse una associazione sportiva dilettantistica riconosciuta dalla rispettiva federazione.

Sulla scorta della ricostruzione in fatto contenuta nell'impugnata sentenza, appare corretta la riconduzione dei costi di cui trattasi nell'ambito previsionale dell'art. 90, co. 8, L n. 289/2002, con la conseguente operatività in favore del contribuente della presunzione legale assoluta della natura pubblicitaria della spesa, della sua inerenza e della sua congruità. Il motivo, dunque, sotto questo aspetto, si rivela privo di fondamento.

Nel caso in esame, la Corte ha dichiarato inammissibile il profilo di doglianza incentrato sulla presunta violazione dell'art. 2697 c.c., dell'art. 109 del TUIR e degli artt. 115 e 116 c.p.c.. La violazione dell'art. 2697 c.c. si configura nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l'onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non quando formi oggetto di censura l'apprezzamento delle prove svolto dal detto giudice. Allo stesso modo, non può configurarsi una violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. se non nei casi in cui il giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d'ufficio al di fuori dei casi in cui la legge lo permette, oppure abbia disatteso prove legali vagliandole secondo il suo prudente apprezzamento o, per contro, conferito valore di prova legale a una risultanza istruttoria che ne è priva; non è, invece, ammissibile quando si contesti l'errata valutazione del materiale istruttorio da lui compiuta. Nella fattispecie, quel che si rimprovera alla CTR non è di aver invertito l'onere della prova, né di aver deciso la causa in base a prove non introdotte dalle parti o ammesse d'ufficio oltre i poteri di indagine riconosciuti al giudice, né di aver attribuito a una determinata prova una valenza diversa da quella prevista dalla legge, bensì di non aver valutato in modo corretto le emergenze processuali, erroneamente ritenendo che il contribuente fosse riuscito a dimostrare la sussistenza dei requisiti richiesti per la deducibilità delle spese di sponsorizzazione. Pertanto, una simile lagnanza non può, tuttavia, trovare ingresso nell'odierna sede. Quanto infine alla dedotta violazione del principio di non contestazione, mette conto evidenziare che la censura manca di decisività, giacché la pronuncia in scrutinio non si fonda sulla pura e semplice applicazione di tale principio, avendo i giudici d'appello spiegato, nella parte motivazionale, che le circostanze rilevanti ai fini del riconoscimento della fondatezza delle ragioni del contribuente risultavano comunque idoneamente comprovate attraverso dei documenti scritti.

Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato l'omessa disamina di un fatto decisivo e controverso, sostenendo che la CTR avrebbe tralasciato di considerare che le prestazioni fatturate dall'associazione al professionista, i cui costi erano stati da lui dedotti ai fini fiscali, risultavano del tutto incerte e apparivano connotate da evidente antieconomicità. Anche questo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

Il fatto asseritamente non esaminato dalla CTR consisterebbe nel difetto della prova di una sicura riferibilità del sostenimento di spese pubblicitarie agli interessi dell'attività autonoma esercitata dal contribuente e, più a monte, della loro stessa esistenza. Le modalità di effettuazione delle prestazioni (inserzioni con logo in un periodico a bassa tiratura) non garantivano un accesso al grande pubblico, né giustificavano un investimento così ingente, specie se confrontato con quanto elargito da altri operatori alle medesime compagini dilettantistiche. Sussistevano, pertanto, a detta della ricorrente, molteplici anomalie e incongruenze che, se tenute in debita considerazione, avrebbero dovuto indurre il collegio di seconde cure a negare la deducibilità delle spese in discorso.

A prescindere da ogni rilievo in ordine alla possibilità di qualificare le surriferite circostanze come veri e propri fatti, esse non sono state ignorate dalla CTR, la quale, come è palese, le ha implicitamente ritenute irrilevanti a fronte dell'acclarata operatività della presunzione legale assoluta di cui all'art. 90, co. 8, L n. 289/2002, preclusiva di qualsiasi ulteriore indagine circa la natura della spesa contestata, la sua inerenza all'attività d'impresa svolta dal contribuente e la sua congruità. Tanto basta, in ogni caso, ad escludere che i fatti di cui si lamenta l'omesso esame possano essere considerati decisivi, cioè idonei a condurre a una diversa soluzione della controversia. Per il resto, anche questo motivo si traduce, al pari del precedente, in una non consentita rivalutazione del merito della vicenda di causa.

In definitiva, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, condannando l'Agenzia delle Entrate al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, in favore del controricorrente.

di Ilia Sorvillo

Fonte normativa

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