Accertamento fiscale e segreto professionale
I verificatori, durante l'accesso in locali destinati all'esercizio di attività professionale, se intendono procedere all'esame di documenti in relazione ai quali sia stato eccepito il segreto professionale, devono munirsi di apposita autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina (Cassazione - sez. trib. - ordinanza 26 giugno 2025 n. 17228)
Accertamento fiscale e segreto professionale
I verificatori, durante l'accesso in locali destinati all'esercizio di attività professionale, se intendono procedere all'esame di documenti in relazione ai quali sia stato eccepito il segreto professionale, devono munirsi di apposita autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina (Cassazione - sez. trib. - ordinanza 26 giugno 2025 n. 17228)
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la Direzione Provinciale di Cosenza dell'Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di un avvocato un avviso di accertamento con il quale rettificava la dichiarazione dei redditi dallo stesso presentata per l'anno 2009, contestando l'omessa fatturazione o in alcuni casi la sottofatturazione delle prestazioni professionali da lui rese in quell'anno e operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell'IRPEF, dell'IRAP e dell'IVA.
I rilievi mossi dall'Ufficio si fondavano sulle risultanze dell'accesso eseguito da militari della Guardia di Finanza presso lo studio del professionista, nel corso del quale erano stati rinvenuti documenti - fra cui, in particolare, un block notes contenente l'indicazione dei nominativi dei clienti e dei compensi da questi corrisposti - asseritamente integranti una vera e propria contabilità parallela.
II contribuente impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza, che respingeva il suo ricorso.
La decisione veniva, però, successivamente riformata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria, la quale, con sentenza, in accoglimento dell'appello della parte privata, annullava l'atto impositivo impugnato.
A sostegno della pronuncia adottata, i giudici regionali rilevavano che l'esame dei documenti posti a base dell'accertamento tributario era avvenuto illegittimamente, atteso che: - «a fronte dell'eccezione del segreto professionale (ad opera) del contribuente», i verificatori «gli avevano notificato l'autorizzazione della Procura della Repubblica di Paola all'acquisizione di documentazione in deroga al segreto professionale, datata 31 gennaio 2012», e quindi «rilasciata prima della relativa eccezione da parte del contribuente e, di conseguenza, anche senza l'indicazione della documentazione da acquisire in deroga al segreto professionale»; - «l'avviso di accertamento si fondava sulle dichiarazioni di terzi e sui dati contenuti nel block notes illegittimamente acquisiti, per cui lo stesso doveva ritenersi infondato, perché le sole dichiarazioni di terzi costituiscono meri indizi, da soli - come nel caso in esame insufficienti a fondare l'accertamento».
Contro questa sentenza l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione. L'avvocato ha resistito con controricorso.
Al riguardo, la Cassazione ha affermato che qualora durante l'accesso in locali destinati all'esercizio di attività professionale i verificatori intendano procedere all'esame di documenti in relazione ai quali sia stato eccepito il segreto professionale, essi devono in ogni caso munirsi di apposita autorizzazione del Procuratore del Repubblica o, in alternativa, dell'autorità giudiziaria più vicina.
Ciò posto, va osservato che l'esame dei documenti di cui qui si discute era avvenuto nel corso di un accesso eseguito da militari della Guardia di Finanza presso lo studio dell'avvocato. Durante tale accesso era stato eccepito il segreto professionale relativamente ai detti documenti, onde gli operanti avrebbero potuto esaminarli soltanto in forza di un'autorizzazione «ad hoc».
Una siffatta autorizzazione, proprio perché divenuta necessaria soltanto a séguito dell'opposizione del segreto professionale, non poteva che intervenire successivamente al verificarsi della situazione che ne aveva imposto il rilascio e con specifico riferimento ai documenti per i quali l'esigenza si era manifestata. Non era, quindi, sufficiente un'autorizzazione preventiva e generica, quale quella che la CTR ha accertato essere stata rilasciata nel caso di specie dal Procuratore della Repubblica di Paola.
Sull'argomento viene in rilievo la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 11082/2010, con la quale è stato affermato che l'autorizzazione in oggetto è un atto interno al procedimento fiscale, producente effetti soltanto in tale àmbito, e che la valutazione circa la sua legittimità o meno è devoluta al sindacato del giudice tributario, la cui giurisdizione non riguarda esclusivamente gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria, ma si estende a tutti quelli che siano stati emanati nelle varie fasi dello stesso.
Nel richiamato arresto nomofilattico, per quanto qui specificamente interessa, è stato sottolineato che il contenuto motivazionale della detta autorizzazione deve essere necessariamente correlato all'esigenza di esplicitare l'avvenuta comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti, ovverosia dei motivi per i quali il contribuente-professionista ha opposto il segreto professionale e delle ragioni che, secondo l'organo verificatore, rendono necessari e/o indispensabili, ai fini della verifica fiscale in atto, l'esame dei documenti e/o l'acquisizione delle notizie "secretati".
Orbene, proprio la predicata necessità di una comparativa valutazione delle contrapposte ragioni offerte dalle parti lascia chiaramente intendere come il provvedimento di cui all'art. 52, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 possa essere legittimamente adottato solo dopo che il segreto professionale è stato eccepito, e non anche in via preventiva, quando ancora non è dato sapere se, ed eventualmente in relazione a quali documenti, esso sarà opposto.
Alle surriferite «regulae iuris» si è rettamente attenuta la CTR calabrese, la quale, nella constatata assenza di un'autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell'autorità giudiziaria più vicina rilasciata successivamente all'opposizione del segreto professionale e con specifico riferimento ai documenti per i quali questo era stato fatto valere, ha ritenuto inutilizzabili i dati e le informazioni desunti dai finanzieri attraverso l'esame di un block notes <secretato> rinvenuto presso lo studio dell'avvocato.
Non sussiste, pertanto, il dedotto «error in iudicando»; né giova alla ricorrente l'operato richiamo al principio di diritto affermato da questa Corte con sentenza n. 22984/2010.
Nel caso in esame non si è, infatti, in presenza di un accertamento fiscale fondato su elementi indiziari raccolti nell'àmbito di indagini penali svolte senza il rispetto delle formalità previste dal codice di procedura penale, essendo oggetto del contendere la pretesa violazione di una norma tributaria relativa a un atto interno del procedimento impositivo suscettibile di determinare l'illegittimità derivata del provvedimento finale (Cass. Sez. Un. n. 6315/2009 e Cass. n. 631/2012).
Infine, la CTR non ha affatto negato che, in linea di principio, la riscontrata esistenza di una contabilità parallela possa costituire la fonte di innesco di un accertamento di tipo induttivo, essendosi limitata ad osservare che nella fattispecie concreta la documentazione posta a base dell'atto impositivo impugnato non era utilizzabile a fini fiscali, in quanto illegittimamente esaminata dai finanzieri in assenza di una valida autorizzazione. Tali argomentazioni sono state trascurate dalla ricorrente, sicché la doglianza in scrutinio non può trovare ingresso.
Per le ragioni sopra esposte, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato l'Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità.
di Daniela Nannola
Fonte Normativa