mercoledì, 10 settembre 2025 | 13:09

ASD: la Cassazione conferma la responsabilità del rappresentante legale

Il disconoscimento delle firme non esclude automaticamente la responsabilità solidale del rappresentante legale dell'associazione sportiva dilettantistica (Cassazione - ordinanza 25 agosto 2025 n. 23825, sez. trib.)

ASD: la Cassazione conferma la responsabilità del rappresentante legale

Il disconoscimento delle firme non esclude automaticamente la responsabilità solidale del rappresentante legale dell'associazione sportiva dilettantistica (Cassazione - ordinanza 25 agosto 2025 n. 23825, sez. trib.)

La vicenda processuale è nata a seguito della notifica di un avviso di accertamento con cui l'Agenzia delle entrate contestava l'omesso versamento di imposte (IRES, IRAP e IVA ) nei confronti dell'associazione sportiva dilettantistica, nonché del rappresentante legale della stessa, quale corresponsabile solidale ex art. 38 c.c.

Il contribuente, dopo aver protestato la propria estraneità all'attività gestoria dell'associazione, impugnava l'avviso di accertamento dinanzi alla CTP, disconoscendo altresì le sottoscrizioni a lui apparentemente riconducibili, salvo quella in calce all'atto costitutivo. Il ricorso è stato accolto in primo grado dalla CTP.

Al contrario, la CTR ha ritenuto la fondatezza dell'appello proposto dall'Ufficio.

Avverso tale sentenza, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, articolando quattro motivi:

- la motivazione apparente e contraddittoria della sentenza impugnata;

- la violazione e falsa applicazione dell'art. 38 c.c. nella parte in cui stabilisce che delle obbligazioni rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, in quanto il ricorrente non avrebbe mai compiuto atti gestori per conto dell'ASD;

- la nullità e/o erroneità della sentenza per errori procedurali e di giudizio, in quanto il contribuente aveva disconosciuto fin dal primo grado le firme apposte sui documenti prodotti dall'ufficio ed al medesimo apparentemente riconducibili, producendo altresì perizia grafologica e dichiarazioni scritte, mentre l'amministrazione finanziaria si era limitata a chiedere la verificazione soltanto successivamente;

- l'omesso esame circa fatti decisivi del giudizio, relativamente al disconoscimento delle firme ed all'omesso esame delle prove fornite dal ricorrente e della posizione processuale al riguardo assunta dall'ufficio.

Gli ultimi due motivi sopra sintetizzati possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi e rivestono valore pregiudiziale, dal punto di vista logico-giuridico, rispetto all'esame del primo e del secondo motivo di ricorso. Gli stessi risultano altresì fondati.

Secondo la Suprema Corte, la motivazione della sentenza impugnata appare gravemente contraddittoria, poiché, pur non potendosi attribuire all'odierno appellato la sottoscrizione apposta sia sui documenti contabili che su quelli societari, ritiene comunque sussistente quanto risulta dal registro delle imprese, ossia che l'odierno appellato fosse il legale rappresentante dell'associazione. D'altro canto, senza porre minimamente in dubbio la veridicità della perizia calligrafica, viene considerato "strano" che non sia stata proposta querela di falso. Per cui alla luce di quanto risulta dai documenti presenti nell'Anagrafe Tributaria, questo Collegio ritiene l'appellato, responsabile, unitamente alla ASD, delle infrazioni commesse.


Appare in tal modo evidente la contraddittorietà di tale ragionamento che, da un lato, omette qualsiasi considerazione circa il disconoscimento operato dal contribuente, e dall'altro attribuisce valore probatorio a documentazione non meglio specificata, contenuta nell'Anagrafe tributaria, senza neppure prendere in esame la verificazione proposta dall'ufficio, arrivando a pretendere che il contribuente avrebbe dovuto avanzare querela di falso. Tuttavia, il disconoscimento non richiede affatto la presentazione di denunce penali, ed è alternativo alla proposizione della querela di falso, consistendo nella mera "negazione formale" della propria scrittura o sottoscrizione, pur non potendo ricondursi a mere affermazioni di stile di contenuto generico.

Nel caso di specie, una volta chiarito che la parte interessata non era affatto tenuta a proporre la querela di falso, il disconoscimento appariva specifico e fondato sulla produzione di prove documentali e di una perizia grafologica di parte. Inoltre, l'obbligo di tenere conto emerge, sia pure implicitamente, dalla stessa sentenza impugnata, che finisce per attribuisce rilievo probatorio ai documenti oggetto di disconoscimento, ritenendoli comunque presenti nell'Anagrafe tributaria. Non può quindi affermarsi l'irrilevanza della posizione processuale assunta dal contribuente, né può giustificarsi l'omessa valutazione del disconoscimento con il solo rilievo che egli non abbia presentato querela di falso.

Se ciò è vero, tuttavia, la medesima sentenza incorre in un evidente error in procedendo, laddove omette di affrontare in qualunque modo l'istanza di verificazione proposta dall'ufficio. L'art. 216 c.p.c. è infatti chiaro nello stabilire che la parte, laddove intenda avvalersi della scrittura disconosciuta, deve chiederne la verificazione producendo i mezzi di prova che ritiene utili, con la conseguenza che in mancanza di tale verificazione, il documento è privato di qualsivoglia efficacia probatoria. Nel processo tributario, infatti, trova applicazione l'istituto di cui all'art. 214 c.p.c. e ss, con la conseguenza che, in presenza del disconoscimento della firma, il giudice ha l'obbligo di accertare l'autenticità delle sottoscrizioni, altrimenti non utilizzabili ai fini della decisione.

I giudici d'appello, invece, hanno ritenuto che il disconoscimento effettuato dal contribuente non assumesse rilevanza in quanto, piuttosto, lo stesso avrebbe dovuto proporre una querela di falso. In questo modo, inoltre, sostanzialmente si viene ad escludere la possibilità di prova contraria in capo al soggetto formalmente riconducibile al rappresentante dell'associazione, nonostante questa non sia affatto una forma di responsabilità assoluta ma implichi, viceversa, il concreto svolgimento di attività negoziale per l'associazione. Di conseguenza, il terzo e il quarto motivo di ricorso si rivelano complessivamente fondati, risultando, invece, assorbito in questa sede l'esame dei primi due motivi di impugnazione.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la pronuncia impugnata e rinviato la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di II grado affinché, in diversa composizione, proceda ad una nuova valutazione del caso, tenendo conto dei principi sopra espressi.

di Ilia Sorvillo

Fonte normativa

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