“Vai a casa”: l’invito rivolto al lavoratore non dà luogo al licenziamento orale
L’ordine di allontanarsi dal luogo di lavoro, intimato dal manager al lavoratore nel corso di un diverbio, non costituisce manifestazione della volontà datoriale di porre fine al rapporto (Tribunale Agrigento – sentenza 3 luglio 2025 n. 1060, sez. lav.)
“Vai a casa”: l’invito rivolto al lavoratore non dà luogo al licenziamento orale
L’ordine di allontanarsi dal luogo di lavoro, intimato dal manager al lavoratore nel corso di un diverbio, non costituisce manifestazione della volontà datoriale di porre fine al rapporto (Tribunale Agrigento – sentenza 3 luglio 2025 n. 1060, sez. lav.)
La vicenda trae le mosse dal caso di un lavoratore, con mansioni di addetto alle pulizie, il quale, a seguito di un diverbio sul luogo di lavoro, veniva invitato a lasciare il posto.
Il dipendente, interpretando l’ordine rivoltogli quale intimazione di licenziamento orale, si assentava dal luogo di lavoro nei giorni successivi all’accaduto e veniva sanzionato dal datore di lavoro, dapprima, con una multa, e, in seguito, con licenziamento per giusta causa, per assenza ingiustificata.
Il lavoratore agiva in giudizio, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità tanto del licenziamento asseritamente orale quanto del licenziamento successivamente comunicatogli.
Il Tribunale di Agrigento, in funzione di Giudice del lavoro, ha rigettato il ricorso del dipendente, rilevando, preliminarmente, che, allorquando il lavoratore deduca di essere stato licenziato oralmente e faccia valere in giudizio la inefficacia o invalidità di tale licenziamento, la prova gravante sul lavoratore è di regola limitata alla sua estromissione dal rapporto, estromissione che, però, non consiste nella semplice constatazione della cessazione di fatto dell'attuazione del rapporto di lavoro, bensì nella dimostrazione di uno specifico comportamento del datore di lavoro che a un certo punto abbia rifiutato le prestazioni offerte dal lavoratore.
Il lavoratore che impugni il licenziamento, allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta, ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione.
Nel caso di specie, il lavoratore non aveva fornito prova del fatto che l'interruzione del rapporto fosse da attribuire alla volontà datoriale, anche perché l'ordine di allontanarsi era stato intimato dal manager del locale in cui lo stesso svolgeva la propria attività e non dal datore di lavoro dello stesso. Il diverbio era stato, inoltre, seguito da una nota disciplinare in merito al comportamento adottato dal dipendente, con cui si sanzionava quest’ultimo per i toni usati, il che faceva presupporre la stessa la vigenza del rapporto.
Ritenuto insussistente il licenziamento orale, il Tribunale ha dichiarato legittimo il licenziamento poi effettivamente irrogato per assenza ingiustificata, atteso che, una volta irrogata la sanzione disciplinare della multa - anche a voler ritenere che alla base del comportamento del lavoratore vi fosse stata un’ incomprensione circa la conclusione del rapporto di lavoro - il dipendente era tenuto a ripresentarsi in servizio.
La legittimità del recesso discendeva dalla circostanza che il lavoratore avesse fornito con ritardo giustificazioni, non rispettando il termine di cinque giorni dalla contestazione, e presentando altrettanto tardivamente l’offerta di prestazione lavorativa.
Di Chiara Ranaudo
Fonte normativa