mercoledì, 30 luglio 2025 | 11:51

Processo tributario e diritto alla difesa: salva la preclusione probatoria

È necessaria un’interpretazione restrittiva della preclusione processuale all’utilizzo dei documenti non trasmessi o non consegnati in risposta agli inviti dell’amministrazione finanziaria (CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 28 luglio 2025, n. 137)

Processo tributario e diritto alla difesa: salva la preclusione probatoria

È necessaria un’interpretazione restrittiva della preclusione processuale all’utilizzo dei documenti non trasmessi o non consegnati in risposta agli inviti dell’amministrazione finanziaria (CORTE COSTITUZIONALE - Sentenza 28 luglio 2025, n. 137)

Con la sentenza n. 137 del 28 luglio 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sull’inutilizzabilità in giudizio dei documenti non prodotti dal contribuente nella fase istruttoria.

Tuttavia, ha ridotto il campo di applicazione della norma per garantirne la compatibilità con il diritto alla difesa e il giusto processo.

Nel caso di specie, la Corte di giustizia tributaria di primo grado di Roma aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale sull’art. 32, commi 3 e 4, DPR 29 settembre 1973, n. 600, nella parte in cui prevede che il contribuente non possa utilizzare in giudizio documenti richiesti in fase istruttoria e non esibiti, salvo prova di causa non imputabile. Il giudice rimettente aveva rilevato un contrasto con numerosi principi costituzionali (artt. 24, secondo comma, 25, 111, primo comma, della Costituzione) e sovranazionali (artt. 10, primo comma, e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), agli artt. 8, 10 e 11 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE) e all’art. 14, comma 3, lettera g), del Patto internazionale sui diritti civili e politici (PIDCP)), in quanto tale preclusione comprometterebbe il diritto alla difesa, all’equo processo, alla prova e al silenzio.

La Corte Costituzionale ha però ritenuto infondate queste censure. Dopo aver respinto alcune eccezioni preliminari di inammissibilità proposte dall’Avvocatura dello Stato, ha chiarito che la norma in questione deve essere interpretata in modo restrittivo e costituzionalmente orientato. In particolare, ha precisato che:

- la preclusione può operare solo per elementi univocamente favorevoli al contribuente, non per quelli dal contenuto misto o potenzialmente sfavorevoli;

- non si applica se l’amministrazione disponeva già dei documenti (es. banche dati fiscali);

- va esclusa ogni interpretazione che imponga al contribuente un dovere di autodenuncia in violazione del principio “nemo tenetur se detegere”;

- la norma deve essere intesa come strumento di dialogo e collaborazione anticipata tra contribuente e fisco, in linea con lo spirito di leale cooperazione promosso dalla Costituzione.

La Corte ha anche valorizzato l’evoluzione normativa e giurisprudenziale che ha già ristretto l’ambito applicativo dell’inutilizzabilità, rendendolo compatibile con il diritto alla difesa, e ha invitato a tener conto della crescente digitalizzazione e accessibilità dei dati da parte dell’amministrazione.

In conclusione, le questioni sono state dichiarate non fondate nei sensi precisati, subordinando la legittimità della norma a un’applicazione limitata e rispettosa dei diritti fondamentali del contribuente. Resta inammissibile, invece, il riferimento ai parametri europei (CDFUE e Dichiarazione universale) per carenza di motivazione sull’ambito applicativo. La sentenza conferma dunque la validità della norma, ma richiede un’applicazione rigorosa, proporzionata e orientata al rispetto dei principi costituzionali.

di Anna Russo

Fonte normativa