Licenziamento orale: onere della prova in capo al lavoratore
Il lavoratore che impugni il licenziamento orale deve provare che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa (Tribunale Catania – sentenza 5 giugno 2025 n. 2385, sez. lav.)
Licenziamento orale: onere della prova in capo al lavoratore
Il lavoratore che impugni il licenziamento orale deve provare che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa (Tribunale Catania – sentenza 5 giugno 2025 n. 2385, sez. lav.)
Un lavoratore, con mansioni di operatore socio sanitario, impugnava il licenziamento orale intimatogli dalla società datrice di lavoro, ponendo a fondamento del ricorso l’accusa, a suo avviso infondata, mossagli per aver strattonato un ospite della struttura in cui lavorava; lamentava di essere stato invitato dal rappresentante legale della società “ad andare via” senza alcuna contestazione formale ex art.7 L. n. 300/1970 e deduceva, quindi, la nullità e inefficacia del licenziamento, poiché comunicato oralmente, senza la forma scritta, e contestandone la giusta causa e il giustificato motivo.
La società, di contro, contestava la veridicità della ricostruzione dei fatti offerta dal lavoratore, sostenendo che lo stesso si fosse di propria iniziativa allontanato dal posto di lavoro, senza farvi ritorno, a seguito di una riunione in cui erano stati riferiti suoi comportamenti colpevoli; la datrice di lavoro, dunque, affermava che il rapporto di lavoro non si fosse risolto e dovesse ritenersi ancora in corso, tanto che non era stata inoltrata alcuna comunicazione di cessazione agli Enti competenti.
Il Tribunale ha rigettato l’impugnativa di licenziamento proposta dal dipendente, richiamando l’orientamento secondo cui il lavoratore che impugni il licenziamento, allegandone l'intimazione senza l'osservanza della forma scritta, ha l'onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell'esecuzione della prestazione lavorativa. Quest’ultima è di per sé un fatto neutro, di significato polivalente, in quanto può costituire l'effetto sia di un licenziamento, sia di dimissioni, sia di una risoluzione consensuale, sicché il lavoratore deve più nello specifico provare la propria estromissione, ossia l’atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore dal circuito produttivo e l’ allontanamento dall'attività lavorativa quale effetto di una volontà datoriale di esercitare il potere di recesso e risolvere il rapporto.
Ne consegue che il lavoratore non può limitarsi a una mera allegazione della circostanza dell'intervenuto licenziamento, né può obbligare il datore di lavoro a fornire la dimostrazione che l'estinzione del rapporto di durata sia dovuta ad altra causa, ma egli deve, piuttosto, provare che l’intervenuta risoluzione del rapporto è dipesa dalla unilaterale iniziativa datoriale.
Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale ha concluso che non fossero stati offerti elementi probatori sufficienti per ritenere assolto l’onere gravante sul lavoratore circa la sua avvenuta estromissione per iniziativa datoriale, conclusione che non poteva trarsi nemmeno valorizzando elementi presuntivi o comportamenti concludenti, in quanto non dedotti in atti né emergenti dalle risultanze di causa.
D’altra parte, in senso contrario al licenziamento orale deponeva l’oggettiva e incontestata perduranza del rapporto di lavoro, atteso che la società datrice di lavoro non aveva allegato né le intervenute dimissioni del lavoratore né aveva dedotto l’intervenuta risoluzione consensuale, ma aveva piuttosto affermato che il rapporto di lavoro non si fosse mai risolto.
Doveva, in conclusione, ritenersi indimostrata l’estromissione, ovverosia che il rapporto fosse cessato per effetto di un atto datoriale consapevolmente volto ad espellere il lavoratore dal circuito produttivo, non essendo la mera cessazione nell'esecuzione delle prestazioni circostanza di per sé sola idonea a fornire tale prova.
Di Chiara Ranaudo
Fonte normativa