martedì, 17 giugno 2025 | 11:09

Molestie verbali alla collega: legittima la sospensione

Adeguata la sanzione disciplinare della sospensione inflitta ad un lavoratore per la condotta tenuta nei confronti della collega, consistente in molestie sessuali verbali sul luogo di Iavoro (Cassazione - ordinanza 11 giugno 2025 n. 15549, sez. lav.)

Molestie verbali alla collega: legittima la sospensione

Adeguata la sanzione disciplinare della sospensione inflitta ad un lavoratore per la condotta tenuta nei confronti della collega, consistente in molestie sessuali verbali sul luogo di Iavoro (Cassazione - ordinanza 11 giugno 2025 n. 15549, sez. lav.)

Il caso

La Corte di appello di Bologna rigettava il ricorso proposto da un lavoratore avverso la decisione con cui il tribunale aveva ritenuto legittima la sanzione disciplinare inflittagli dalla società datrice di lavoro (otto giorni sospensione) per la condotta tenuta in danno di una collega, consistente in molestie sessuali verbali.
I giudici di appello, in particolare, ritenevano fondato l'addebito, per quanto risultante dalle testimonianze raccolte, e adeguata la massima sanzione conservativa, a nulla rilevando la pregressa storia professionale del dipendente.
Avverso tale decisione il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo condivisibili le conclusioni della Corte territoriale, secondo cui la contestazione mossa al lavoratore, nel caso di specie, era sufficientemente determinata sia sotto il profilo della condotta che delle circostanze di tempo e di luogo in cui la stessa si era verificata, a ciò non rilevando l’esatta indicazione dell'orario o il nome di tutti i colleghi presenti, in quanto l'addebito riportava i fatti essenziali caratterizzanti il comportamento sanzionato. In particolare, il giudice d'appello aveva correttamente indicato presumibilmente gli orari per valutare la coerenza dei testi con quanto contenuto neII'addebito, evidenziando che talune delle dichiarazioni fornite, pur essendo rese da lavoratori che guardavano l'accaduto solo in lontananza, risultavano compatibili con gli orari invece indicati da altri testi e, dunque, coerenti con le circostanze dell'addebito.
I giudici di legittimità, inoltre, rigettando la tesi del lavoratore, hanno ritenuto non violato il principio di gradualità e proporzionalità della sanzione, atteso che la sentenza impugnata aveva chiarito che, pur non potendosi dare rilievo, per la loro genericità, alle altre due contestazioni in origine addebitate al dipendente ed inserite nell'addebito per dar conto del clima di disagio provocato dallo stesso alla collega, andava comunque valorizzata la rilevanza disciplinare del nucleo del fatto imputato che, anche considerato nella sua singolarità, giustificava l'entità della sanzione inflitta.
Sul punto il Collegio ha ribadito che, in materia di sanzioni disciplinari, il giudizio di proporzionalità è devoluto al giudice di merito, in quanto implica un apprezzamento dei fatti che hanno dato origine alla controversia, ed è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione della sentenza impugnata sul punto manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell'essere stata articolata su espressioni od argomenti tra loro inconciliabili, oppure perplessi o manifestamente ed obiettivamente incomprensibili, ovvero ancora sia viziata da omesso esame di un fatto avente valore decisivo.
Sulla base di tali presupposti la Cassazione ha giudicato immune da vizi la valutazione, in tema di proporzionalità della sanzione, effettuata dalla Corte di appello.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa

Rassegna Stampa