Riferisce informazioni sui correntisti in difficoltà: licenziato il responsabile di banca
Legittimo il licenziamento del responsabile di banca che abbia riferito a soggetto indagato per usura ed estorsione informazioni sulle esposizioni debitorie di clienti, al fine di tenerlo aggiornato sullo stato di bisogno di questi ultimi (Cassazione - ordinanza 1 giugno 2025 n. 14760, sez. lav.)
Riferisce informazioni sui correntisti in difficoltà: licenziato il responsabile di banca
Legittimo il licenziamento del responsabile di banca che abbia riferito a soggetto indagato per usura ed estorsione informazioni sulle esposizioni debitorie di clienti, al fine di tenerlo aggiornato sullo stato di bisogno di questi ultimi (Cassazione - ordinanza 1 giugno 2025 n. 14760, sez. lav.)
La Corte d'Appello di Catania confermava la legittimità del licenziamento intimato al responsabile di una filiale di banca, destinatario di due contestazioni disciplinari, con le quali la datrice di lavoro gli aveva addebitato di aver omesso di segnalare le "operazioni sospette" intercorrenti fra i clienti della banca e un soggetto terzo - indagato per i reati di usura ed estorsione - al quale aveva, altresì, riferito informazioni riservate, riguardanti le esposizioni debitorie dei clienti nei confronti della banca, ciò al fine di tenerlo aggiornato in merito allo stato di bisogno di questi ultimi e di agevolare la riscossione dei crediti da parte dello stesso, agendo nella piena consapevolezza dell'usurarietà del rapporto tra il terzo e i correntisti e violando ripetutamente la normativa antiriciclaggio, la normativa posta a tutela della privacy, la normativa interna, il codice di condotta, l'art. 2104 c.c. e le disposizioni del c.c.n.I. applicabile.
Avverso la decisione dei giudici d’appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra i motivi, l’eccessiva durata del procedimento disciplinare.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, richiamando il consolidato orientamento secondo cui, in materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione, espressione del generale precetto di correttezza e buona fede, si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro e va inteso in senso relativo, potendo, nei casi concreti, essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo, in ragione della complessità di accertamento della condotta del dipendente oppure per l'esigenza di una articolata organizzazione aziendale, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo. Compete, dunque, al giudice di merito verificare in concreto quando un potenziale illecito disciplinare sia stato scoperto nei suoi connotati sufficienti a consentire la contestazione, mentre costituisce questione di diritto, sindacabile in sede di legittimità, determinare se l'arco temporale intercorso tra la scoperta dell'illecito disciplinare e la sua contestazione dia luogo, o meno, a violazione del diritto di difesa del lavoratore. Sotto altro profilo, il ritardo della contestazione può costituire un vizio del procedimento disciplinare solo ove sia tale da determinare un ostacolo alla difesa effettiva del lavoratore.
Tanto premesso, il Collegio ha concluso che, nel caso in esame, si sottraesse a qualsiasi rilievo in sede di legittimità il giudizio espresso dalla Corte territoriale, che aveva escluso anche la contrarietà a buona fede del comportamento datoriale circa il tempo non eccessivo trascorso tra la prima contestazione e l'adozione del provvedimento espulsivo.
Difatti, la Corte di merito aveva ben posto in luce tutte le circostanze di fatto e di diritto della peculiare fattispecie, caratterizzata, oltre che da due distinte contestazioni disciplinari, dalla sospensione della stessa procedura disciplinare, e dallo spazio comunque dato alle garanzie difensive del lavoratore; circostanze, quindi, idonee a giustificare il tempo intercorso tra la prima contestazione e il licenziamento.
Di Chiara Ranaudo
Fonte normativa