Molestie sessuali ai danni del collega: licenziata la lavoratrice
Proporzionata la sanzione espulsiva per la dipendente che abbia posto in essere sul luogo di lavoro ripetuti comportamenti di molestia sessuale nei confronti di un collega (Cassazione - ordinanza 22 maggio 2025 n. 13748, sez. lav.)
Molestie sessuali ai danni del collega: licenziata la lavoratrice
Proporzionata la sanzione espulsiva per la dipendente che abbia posto in essere sul luogo di lavoro ripetuti comportamenti di molestia sessuale nei confronti di un collega (Cassazione - ordinanza 22 maggio 2025 n. 13748, sez. lav.)
La Corte d'appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato ad una lavoratrice, dipendente di un’azienda di calzature, alla quale era stato contestato di aver proferito in più occasioni ed in maniera continuativa frasi a contenuto sessuale e manifestato attenzioni indesiderate all'indirizzo di un collega e nell'interazione lavorativa con quest'ultimo.
La Corte territoriale, in particolare, riteneva insussistente la giusta causa di recesso e sproporzionata la sanzione espulsiva e affermava che il datore di lavoro, in considerazione della mancanza di procedimenti disciplinari precedenti a carico della dipendente e di significativi effetti dannosi per l'organizzazione aziendale, avrebbe ben potuto e dovuto graduare la risposta disciplinare, adottando sanzioni di maggiore e progressiva gravità, prima di giungere al licenziamento in tronco.
Avverso tale pronuncia la società ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che la Corte d'Appello non avesse compiuto l'attività di integrazione e valutazione delle clausole generali della giusta causa e della proporzionalità della sanzione espulsiva secondo standards conformi ai valori dell'ordinamento che trovino conferma nella realtà sociale , al fine di determinare l’eventuale rottura del vincolo fiduciario tra le parti e la possibilità di prosecuzione o meno del rapporto di lavoro in seguito alle condotte poste in essere dalla lavoratrice.
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ricordando che per stabilire se sussiste la giusta causa di licenziamento e se è stata rispettata la regola della proporzionalità della sanzione, occorre accertare in concreto se - in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d'opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportava - la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente.
Tanto premesso, il Collegio ha ritenuto non condivisibile, nel caso di specie, la decisione dei giudici di merito per la non corretta individuazione e applicazione del parametro normativo e delle relative specificazioni inerenti la sussistenza della giusta causa e la proporzionalità della sanzione. Invero la Corte distrettuale, in primo luogo, non aveva in alcun modo considerato le modalità oggettive e soggettive con le quali la condotta era stata posta in essere, né che avesse inciso sulle dinamiche lavorative, trascurando la circostanza, assai rilevante, che i comportamenti di molestia sessuale nei confronti del collega erano stati posti in essere alla presenza di altri colleghi di lavoro.
I giudici di legittimità non hanno, infine, mancato di richiamare le previsioni, specificamente rilevanti nel caso in esame, significative della volontà del legislatore, da un lato, di garantire una protezione specifica e differenziata - attraverso il meccanismo dell'assimilazione alla fattispecie della discriminazione - alla posizione di chi si trovi a subire nell'ambito del rapporto di lavoro comportamenti indesiderati per ragioni connesse al sesso, dall'altro, di rafforzare gli obblighi di tutela posti a carico dei datori di lavoro rispetto a comportamenti dei propri dipendenti che si pongano in contrasto con valori fondamentali. Le molestie sessuali sul luogo di lavoro, incidendo sulla salute e la serenità (anche professionale) del lavoratore, comportano, difatti, l'obbligo di tutela a carico del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 cod. civ., pertanto deve ritenersi legittimo il licenziamento irrogato a dipendente che abbia molestato sessualmente un collega sul luogo di lavoro, come avvenuto nel caso di specie, in cui la condotta tenuta dalla lavoratrice si poneva in grave contrasto anche con il Codice di Condotta approvato dalla società, nonché col Regolamento aziendale adottato dalla società dedicato alle contestazioni disciplinari.
di Chiara Ranaudo
Fonte normativa