Connivenza nelle condotte fraudolente dei colleghi: licenziato il presidiante
Legittimo il licenziamento del lavoratore, con qualità di presidiante, che abbia omesso di intervenire e di segnalare al datore di lavoro una pratica illecita adottata dai colleghi (Corte Appello L’Aquila - sentenza 7 maggio 2025 n. 79)
Connivenza nelle condotte fraudolente dei colleghi: licenziato il presidiante
Legittimo il licenziamento del lavoratore, con qualità di presidiante, che abbia omesso di intervenire e di segnalare al datore di lavoro una pratica illecita adottata dai colleghi (Corte Appello L’Aquila - sentenza 7 maggio 2025 n. 79)
Un lavoratore, incaricato della selezione e dell’analisi dei rifiuti di imballaggi in plastica in forza di contratto di presidio, agiva in giudizio contro la società datrice di lavoro per ottenere l’annullamento del licenziamento disciplinare, intimatogli per essere stato presente alle operazioni di analisi in/out di rifiuti, svolte dai colleghi, nell’ambito delle quali questi ultimi ne avevano alterato il risultato, in particolare il peso.
A sostegno della domanda il lavoratore eccepiva la nullità/illegittimità del licenziamento, in quanto irrogato in ragione di video-riprese ottenute in violazione dell’art. 4 della legge n. 300/1970, con conseguente compromissione del diritto di difesa e comunque la sua illegittimità nel merito, in quanto le analisi oggetto di contestazione non erano a lui riferibili, poiché non rientranti tra le attività e le mansioni attribuitegli.
In particolare la società aveva posto a base della contestazione la documentazione trasmessa dalla committente, consistente in un rapporto redatto da una società di investigazione privata incaricata dalla stessa committente di accertare la sussistenza di possibili condotte penalmente rilevanti.
Il Tribunale, accogliendo in parte la domanda del lavoratore, dichiarava estinto il rapporto di lavoro e condannava la società datrice al pagamento di un’indennità risarcitoria.
Avverso tale sentenza hanno proposto appello sia il lavoratore che la società: il primo, lamentando la falsa applicazione dell’art. 4 della legge n. 300/1970, nonché la violazione della disciplina sul trattamento dei dati personali; la seconda, lamentando che il giudice di primo grado avesse erroneamente ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva irrogata al lavoratore, applicando il regime di tutela di cui all’art. 3, co. 1, d. lgs. n. 23/2015.
La decisione della Corte d’Appello
I giudici di del gravame hanno ritenuto infondate le doglianze del lavoratore, rilevando che nel caso in esame le riprese audiovisive, realizzate dagli investigatori, erano avvenute in locali non di diretta pertinenza della datrice di lavoro ma di una diversa società, presso la quale veniva svolto un servizio di cernita e di analisi del materiale plastico. Il centro di selezione all’interno del quale il dipendente svolgeva la sua attività lavorativa era, difatti, di proprietà della società che aveva appaltato alla datrice di lavoro la selezione dei rifiuti di imballaggi in plastica, poi attuata concretamente dal lavoratore in questione, in forza di contratto di presidio e analisi merceologiche. Le riprese audiovisive erano, dunque, state attivate da parte di un soggetto diverso dal datore di lavoro del dipendente e del tutto estraneo al personale dipendente della società, per finalità essenzialmente "difensive" del proprio patrimonio, in ragione di un ingiustificato aumento dei costi addebitati dalla committente alla società appaltatrice, tale da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento.
In particolare, la datrice di lavoro era rimasta del tutto estranea alla predisposizione del controllo, che, anzi, era stato svolto all’insaputa della medesima e le registrazioni audiovisive commissionate erano state acquisite come risultanze documentali e documentate, provenienti da un soggetto terzo, delle modalità di esecuzione delle prestazioni di lavoro rese dai propri dipendenti, che avevano dato luogo all’inadempimento della società appaltatrice.
Non era pertanto configurabile e neppure ipotizzabile una violazione dell’art. 4 della legge n. 300/1970, proprio in ragione del fatto che le registrazioni audiovisive erano state ricevute da un terzo estraneo, ed integravano o erano comunque equiparabili ad una prova documentale, pienamente utilizzabile ed idonea a comprovare il grave inadempimento del lavoratore nei confronti della datrice di lavoro, tale da non consentire anche in via provvisoria la prosecuzione del rapporto di lavoro.
La Corte d’Appello, in riforma della sentenza impugnata, accogliendo le doglianze della società datrice di lavoro, ha affermato la legittimità del licenziamento irrogato al lavoratore, resosi colpevole, in diverse occasioni, della condotta contestata, per aver assistito ad una irregolare procedura di pesata del materiale da parte dei colleghi, omettendo di intervenire e di segnalare la circostanza al datore di lavoro.
Tale condotta, come evidenziato dai giudici di appello, incideva di per sé irreversibilmente sul rapporto di fiducia con il datore di lavoro, per giunta fungeva da incentivo alla commissione di ulteriori analoghe condotte da parte dei colleghi, o comunque rafforzava il proposito illecito degli stessi, sapendo i medesimi di poter contare, per garantirsi l’impunità, nella omertà del presidiante, prestandosi lui stesso a riversare nel sistema informatico dati non veritieri, attenendosi al report di analisi indicante un peso diverso da quello reale.
Veniva in rilievo, dunque, una condotta di compartecipazione o quanto meno di connivenza inserita in un contesto ambientale di piena adesione da parte di tutti i dipendenti, compreso il lavoratore sanzionato, all’adozione di comportamenti in palese violazione dell’obbligo di fedeltà, oltre che dei principi di correttezza e buona fede, in evidente contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa, configurandosi nella specie una situazione di aperto conflitto con gli interessi e le finalità aziendali, tale da minare la fiducia riposta dal datore di lavoro.
Le prove acquisite, pur non potendo suffragare una piena, preordinata e stabile compartecipazione del dipendente alle attività illecite perpetrate dai colleghi, dimostravano quanto meno la sua connivenza, con assoluta indifferenza rispetto agli effetti pregiudizievoli di tali condotte, rispetto all’esatto adempimento sia delle proprie prestazioni nell’ambito del rapporto di lavoro, sia in generale con riferimento all’esecuzione del contratto di appalto, nell’ambito del quale era stato chiamato ad operare, delineandosi una prognosi negativa sul futuro adempimento ai propri obblighi.
Di Chiara Ranaudo
Fonte normativa