martedì, 29 aprile 2025 | 10:51

Operaio accusato di spaccio: legittimo il licenziamento

In presenza di comportamenti del lavoratore che possano integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di tale gravità da determinare l’ improseguibilità del rapporto, il datore di lavoro può esercitare la facoltà di recesso senza che sia necessario attendere la sentenza definitiva di condanna (Cassazione - ordinanza 23 aprile 2025 n. 10612, sez. lav.)

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Operaio accusato di spaccio: legittimo il licenziamento

In presenza di comportamenti del lavoratore che possano integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di tale gravità da determinare l’ improseguibilità del rapporto, il datore di lavoro può esercitare la facoltà di recesso senza che sia necessario attendere la sentenza definitiva di condanna (Cassazione - ordinanza 23 aprile 2025 n. 10612, sez. lav.)


Il caso

La Corte di appello di Roma, in sede di rinvio, dichiarava legittimo il licenziamento intimato dalla società datrice di lavoro ad un operaio che era stato sottoposto a misura coercitiva della libertà personale, consistente nell'obbligo di dimora, nel corso di un procedimento penale volto all'accertamento del reato di organizzazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti. La società era pervenuta alla contestazione disciplinare sulla base della misura cautelare e dell'indagine svolta, di cui era venuta a conoscenza a seguito di alcuni articoli di cronaca locale. 
La Corte territoriale, in particolare, poneva a fondamento della propria decisione la circostanza che l'attività di spaccio contestata era stata svolta in via abituale e professionale e gli elementi di responsabilità basati sulle indagini e sul motivato esame da parte del GIP non avevano trovato in giudizio alcuna contestazione, consentendo di ritenere provata la condotta ascritta all’operaio. Il comportamento del lavoratore, oltre ad avere rilievo penale, risultava contrario alle norme dell'etica e del vivere civile comune, con un riflesso, anche solo potenziale, ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto.
Avverso tale sentenza il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze del dipendente, precisando che, in presenza di comportamenti del lavoratore che possano integrare gli estremi del reato, qualora i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, il datore di lavoro può esercitare la facoltà di recesso senza che sia necessario attendere la sentenza definitiva di condanna. Dunque, lo stabilire se nel fatto commesso dal dipendente ricorrano o no gli estremi di una giusta causa di licenziamento ha carattere autonomo rispetto al giudizio che del medesimo fatto debba darsi a fini penali.
Ebbene, nel caso in esame, la Corte distrettuale, conformemente a quanto demandato in sede di giudizio rescindente, aveva proprio rilevato la sussistenza di una giusta causa di licenziamento, in relazione ad un comportamento extralavorativo, non perché vi era stata una sentenza di condanna in sede penale passata in giudicato, ma perché i fatti contestati (e ritenuti dimostrati ai fini disciplinari) rivestivano un forte allarme sociale, sia per la oggettiva gravità della condotta, che per la intensità del dolo, desumibile dalla molteplicità degli episodi di spaccio e dall'inserimento del lavoratore all'interno di una articolata rete di traffico di stupefacenti, con stabili collegamenti con soggetti pregiudicati: tali fatti rilevavano sul rapporto di lavoro perché integravano un comportamento odioso, che minava le basi della convivenza civile e perché erano significativi di un organico collegamento del lavoratore con ambienti malavitosi, a prescindere dalle mansioni in concreto svolte.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa