lunedì, 28 aprile 2025 | 12:59

Licenziamento per sottrazione di beni aziendali: limiti dei controlli “difensivi”

In ipotesi di licenziamento per presunta sottrazione di beni aziendali, non possono essere utilizzate le immagini registrate dagli impianti audiovisivi acquisite in mancanza di un’adeguata informazione da parte del datore di lavoro (Cassazione - ordinanza 24 aprile 2025 n. 10822, sez. lav.)

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Licenziamento per sottrazione di beni aziendali: limiti dei controlli “difensivi”

In ipotesi di licenziamento per presunta sottrazione di beni aziendali, non possono essere utilizzate le immagini registrate dagli impianti audiovisivi acquisite in mancanza di un’adeguata informazione da parte del datore di lavoro (Cassazione - ordinanza 24 aprile 2025 n. 10822, sez. lav.)

Il caso

La Corte d' Appello di Milano confermava la decisione del giudice di primo grado che, accogliendo il ricorso proposto da una lavoratrice, responsabile di uno showroom commerciale, aveva dichiarato l'illegittimità del licenziamento a questa intimato dalla società datrice di lavoro, condannando l’azienda alla reintegra nel posto di lavoro e alla corresponsione di un'indennità risarcitoria in favore della dipendente.
La Corte, nel condividere l’iter argomentativo del giudice di primo grado, riteneva mancanti prove legittimamente acquisite in ordine alla responsabilità della dipendente per i fatti, attinenti alla sottrazione di alcuni prodotti, alla stessa attribuiti, poiché, l'indagine condotta da un collega della lavoratrice e le immagini registrate dagli impianti audiovisivi erano state realizzate senza il rispetto della vigente normativa in materia.
Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso, lamentando, tra i motivi, la legittimità dei controlli telematici effettuati, affermando che non vi era il presupposto del fondato sospetto, per poter invocare la inapplicabilità dell’art. 4, L. n. 300/70 e poter la società sottrarsi, quindi, agli adempimenti richiesti da tale disposto. Ad avviso dell’azienda, nel caso di specie, sussisteva un “puro convincimento soggettivo" del collega che, rimasto incuriosito dal comportamento della lavoratrice, aveva condotto ulteriori verifiche, il che non consentiva di ricondurre i controlli tramite telecamere ai c.d. controlli difensivi.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze della società, rilevando, preliminarmente, che la legittimità dei controlli cd. difensivi in senso stretto presuppone il "fondato sospetto" del datore di lavoro circa comportamenti illeciti di uno o più lavoratori; ne consegue che spetta al datore dei lavoro l’onere di allegare prima, e di provare, poi, le specifiche circostanze che l’hanno indotto ad attivare il controllo tecnologico “ex post”, sia perché solo il predetto sospetto consente l'azione datoriale fuori del perimetro di applicazione diretta dell'art. 4 st. lav., sia perché, in via generale, incombe sul datore, ex art. 5 L. n. 604 del 1966, la dimostrazione del complesso degli elementi che giustificano il licenziamento.
Quanto all’attività di indagine posta in essere direttamente dal collega della lavoratrice, il Collegio ha giudicato condivisibile le conclusioni della Corte di merito che aveva ritenuto profilarsi, in linea con il giudice di primo grado, la chiara violazione della disciplina a tutela della riservatezza e della dignità della lavoratrice, attraverso una illecita perquisizione su un bene personale - cioè la borsa - apparentemente appartenente alla collega.
D’altro canto, con riferimento alle riprese degli impianti audiovisivi, correttamente ricondotti nell’ambito dei controlli difensivi del patrimonio aziendale, perché rivolti indistintamente a tutti il personale, i giudici di appello ne avevano ritenuto, condividendo, anche sul punto, l’impostazione del Tribunale, la carenza di prova circa l’adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concludendo per l'inutilizzabilità delle immagini provenienti dagli impianti, nonché del materiale scaturente da tali riprese.
Sulla base di tali presupposti i giudici di legittimità hanno ritenuto non censurabile la sentenza impugnata, fondata sul mancato assolvimento dell'onere della prova da parte della datrice di lavoro circa la dimostrazione degli addebiti idonei ad integrare la giusta causa di recesso.

Di Chiara Ranaudo

Fonte normativa