Utilizzo abusivo del pc aziendale: no al licenziamento
Sproporzionato il licenziamento intimato al dipendente che abbia utilizzato in maniera impropria il computer aziendale, in assenza di finalità specificamente lesive dei dati informatici della società (Cassazione - ordinanza 24 marzo 2025 n. 7825, sez. lav.)
Utilizzo abusivo del pc aziendale: no al licenziamento
Sproporzionato il licenziamento intimato al dipendente che abbia utilizzato in maniera impropria il computer aziendale, in assenza di finalità specificamente lesive dei dati informatici della società (Cassazione - ordinanza 24 marzo 2025 n. 7825, sez. lav.)
La Corte d'appello di Ancona dichiarava illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore al quale la società datrice di lavoro aveva contestato la violazione delle disposizioni aziendali sul corretto uso degli strumenti informatici assegnati ai dipendenti, a seguito dell’utilizzo abusivo del pc aziendale.
La Corte territoriale, accertata la sussistenza degli addebiti, riteneva i fatti contestati astrattamente riconducibili alla previsione del contratto collettivo che consentiva il licenziamento in caso di "esecuzione senza permesso di lavori nell'azienda per conto proprio con l'impiego di materiale dell'azienda"; tuttavia valutava la condotta in concreto accertata come priva di particolare gravità ed giudicava il licenziamento misura sproporzionata, applicando la tutela di cui all'art. 18, co. 5, L n. 300/1970.
Avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, evidenziando, preliminarmente, che dalla natura legale della nozione di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa e giustificato motivo contenuta nei contratti collettivi abbia una valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito al quale spetta la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie. La scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce solo uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c..
D'altra parte, mentre le specificazioni del parametro normativo di cui all'art. 2119 c.c. hanno natura giuridica e la loro errata individuazione, sotto l'aspetto della non coerenza agli standards conformi ai valori dell'ordinamento ed esistenti nella realtà sociale, è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, l'accertamento della concreta ricorrenza degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in Cassazione se privo di errori logici o giuridici.
A tali precetti, secondo il Collegio, si era attenuta la sentenza impugnata che, dopo aver sussunto la condotta addebitata al lavoratore nella cornice della fattispecie contrattuale suscettibile di licenziamento, aveva tuttavia valorizzato, ai fini della giusta causa, una serie di indici tratti dal concreto comportamento posto in essere e dai suoi effetti, quali il numero limitato di violazioni commesse (due della stessa natura) e la mancanza di finalità specificamente lesive dei dati informatici della società, così giungendo a valutare l'addebito come privo del requisito di gravità tale da ledere definitivamente il vincolo fiduciario e giustificare il recesso.
Inoltre, posto che anche il licenziamento per giustificato motivo soggettivo è configurabile in presenza di un "notevole inadempimento" degli obblighi contrattuali, la valutazione dei giudici di appello sulla mancanza di particolare gravità della condotta contestata ai lavoratore, per il numero limitatissimo degli episodi e l'assenza di qualsiasi finalità e anche di qualsiasi conseguenza dannosa per i beni e gli interessi aziendali, conteneva un rigetto implicito della possibilità di ravvisare anche un giustificato motivo soggettivo di recesso.
Di Chiara Ranaudo
Fonte normativa