Denuncia per mobbing e trasferimento ad altra sede
Legittimo il provvedimento di trasferimento disposto per incompatibilità ambientale nei confronti della lavoratrice che abbia denunciato condotte mobbizzanti sul luogo di lavoro (Tribunale Milano - sentenza 10 febbraio 2025, n. 851, sez. lav.)
Denuncia per mobbing e trasferimento ad altra sede
Legittimo il provvedimento di trasferimento disposto per incompatibilità ambientale nei confronti della lavoratrice che abbia denunciato condotte mobbizzanti sul luogo di lavoro (Tribunale Milano - sentenza 10 febbraio 2025, n. 851, sez. lav.)
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Una lavoratrice, dipendente di banca, agiva nei confronti della datrice di lavoro al fine di far accertare la natura discriminatoria e/o ritorsiva del provvedimento disposto nei suoi confronti, ossia l’assegnazione ad altra sede che aveva fatto seguito alle iniziative giudiziali intraprese dalla stessa lavoratrice nei confronti della banca. In particolare, la dipendente aveva precedentemente convenuto in giudizio la datrice di lavoro per il riconoscimento del diritto al superiore livello di quadro per le mansioni disimpegnate e per denunciare comportamenti di mobbing e straining di cui si dichiarava vittima; nella pendenza del giudizio i referenti delle risorse umane le avevano preannunciato il trasferimento ad altra sede nella medesima area, poi successivamente disposto.
La banca deduceva che la propria scelta organizzativa si rendeva necessaria per incompatibilità ambientale sulla base del ricorso giudiziale introdotto dalla lavoratrice in cui venivano denunciati, nell’ambito della precedente sede di lavoro, comportamenti mortificanti e ritorsivi dei superiori, atteggiamenti di esclusione, illegittimi inviti a richiedere il trasferimento o a presentare le proprie dimissioni, condotte che avevano comportato, a detta della lavoratrice, conseguenze deteriori sulla propria salute. Contestualmente, la difesa della società aveva evidenziato che i superiori della lavoratrice si erano a loro volta lamentati dell’ambiente stressogeno che quest’ultima aveva creato a lavoro in forza di un atteggiamento accusatorio e polemico che comportava grandi difficoltà nello svolgimento della normale attività lavorativa.
Il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso della lavoratrice, ritenendo che, nel caso di specie, la scelta aziendale di disporne l’assegnazione ad altra sede rappresentasse una scelta prudenziale sotto un duplice profilo: da un lato, per la dedotta ed evidente incompatibilità ambientale, in forza delle gravissime accuse mosse dalla lavoratrice nei confronti dei propri superiori; dall’altro lato, a fronte della rappresentazione della dipendente di un contesto lavorativo pregiudizievole per le proprie condizioni, emergendo la necessità, da parte del datore di lavoro, di attivarsi per preservare la salute della dipendente.
Il provvedimento adottato dalla banca veniva, dunque, in rilievo quale pieno e doveroso adempimento delle previsioni della norma generale dell’art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di farsi carico di adottare tutte le misure necessarie per garantire e tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
In altre parole, la società, onde evitare di incorrere in possibili responsabilità, aveva adottato una misura organizzativa necessaria, con lo scopo di arrecare il minor pregiudizio possibile alla stessa lavoratrice, mantenendola nell’ambito della medesima area e collocandola, geograficamente, presso una sede assolutamente prossima a quella precedente.
Non era, pertanto, possibile ravvisare la dedotta natura discriminatoria della scelta aziendale che, anzi, si collocava nel solco di un ragionevole ed apprezzabile equilibrio tra le ragioni della dipendente e quelle organizzative dell’impresa.
Sulla base di tali presupposti il giudicante ha concluso che la banca non avesse agito con l’intento di ritorsione nei confronti della lavoratrice, ma esercitando le proprie doverose prerogative di legge.
di Chiara Ranaudo
Fonte normativa