Il lavoratore abusa dei permessi sindacali: legittimo il licenziamento disciplinare
La qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l'accertamento della concreta vicenda, venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali (Cassazione – ordinanza 26 luglio 2024 n. 20979 - sez. lav.)
Il lavoratore abusa dei permessi sindacali: legittimo il licenziamento disciplinare
La qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l'accertamento della concreta vicenda, venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali (Cassazione – ordinanza 26 luglio 2024 n. 20979 - sez. lav.)
Nella specie, una Corte di Appello territoriale, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto l'impugnativa del licenziamento disciplinare proposta da un lavoratore. La Corte, in sintesi, ha accertato come "sussistenti le condotte rilevanti sul piano disciplinare in relazione alle giornate di assenza per permesso sindacale del 19 settembre e del 22 ottobre" del 2018. Quanto alla mancata indicazione delle norme violate in sede di procedimento disciplinare, la Corte ha escluso che ciò fosse imposto non solo dall'art. 7 S.d.L. ma anche dal tenore testuale dell'art. 73 del CCNL Tessile Abbigliamento; circa l'eccepita tardività della contestazione disciplinare, la stessa Corte ha osservato che "il carattere pressocchè istantaneo tra comunicazione dell'agenzia investigativa e contestazione disciplinare (la prima del 26 novembre e la seconda del successivo 27)" rendesse "del tutto ingiustificata la doglianza", valorizzando altresì che "la difesa del lavoratore ha solo in astratto enunciato la violazione del diritto di difesa senza lamentare quale concreta violazione del diritto di difesa si sia verificata".
In merito alla gravità della condotta, la Corte, richiamando un proprio precedente, ha argomentato: "Il fatto non è semplicisticamente riconducibile ad alcuni giorni di assenza ingiustificata, di per sè sanzionabili teoricamente con sanzione conservativa ed eventualmente con quella espulsiva. Nè e decisivo il dato economico - retribuzione indebita per i vari giorni-. Il fatto contestato riguarda ben altri aspetti implicati dalla vicenda. La condizione soggettiva dell'autore, sindacalista, ossia persona preposta alla tutela di interessi collettivi e per questo beneficiario del permesso retribuito dell'art. 30, il quale utilizza tale beneficio riconosciuto dall'ordinamento per una attività diversa, è valorizzabile ai fini che qui interessano ben al di là della assenza ingiustificata di un qualsiasi lavoratore. La insindacabilità della concessione del permesso, obbligatoria per parte datoriale, è elemento valutabile al fine di una prognosi sulla futura ottemperanza/affidabilità del dipendente circa le <regole del gioco>, circa il rispetto delle stesse nel prosieguo del rapporto. Questi elementi, valutativi di interessi generali e delle parti contrattuali rendono ancor più grave la condotta realizzata dall'incolpato, qualificabile sostanzialmente come abuso del diritto (alla stregua di quanto avviene in materia di permessi della L.104/92).
I Giudici hanno concluso: "nel caso di specie alla pluralità di giorni si assomma la reiterazione della condotta elemento che è fortemente indicativo della palese indifferenza del lavoratore verso i propri doveri nei confronti del datore di lavoro aggravati dalla strumentalizzazione del ruolo sindacale rivestito".
Ebbene, nella sentenza impugnata non è ravvisabile un sovvertimento dell'onere probatorio in tema di giusta causa di licenziamento, atteso che la Corte territoriale, all'esito del vaglio critico delle risultanze istruttorie, ha ritenuto, a fronte di un quadro probatorio consolidatosi nel senso dell'attribuibilità al lavoratore del fatto contestato, che costituisse onere di quest'ultimo offrire elementi idonei ad incrinare tale quadro, onere ritenuto in concreto non assolto.
Ai sensi dell'art. 7, secondo comma, della L n 300 del 1970, la preventiva contestazione dell'addebito, nel procedimento disciplinare, deve avere per oggetto i fatti ascritti al lavoratore con specificità tale da consentire, secondo la finalità che le è propria, un'adeguata difesa dell'incolpato, ma non anche indicare le norme legali o contrattuali che si assumono violate; nè la disposizione della contrattazione collettiva invocata depone inequivocabilmente, nel suo tenore letterale, per una interpretazione incoerente con tale assunto, atteso che si limita a ribadire che nella contestazione scritta devono essere indicati "i fatti specifici che costituiscono l'infrazione imputata".
La Corte territoriale si mostra pienamente consapevole che la concessione dei permessi sindacali non è soggetta ad alcun potere discrezionale ed autorizzatorio da parte del datore di lavoro e, purtuttavia, essi non possono essere utilizzati al di fuori della previsione normativa e per finalità personali o, comunque, divergenti rispetto a quelle per le quali possono essere richiesti; in particolare, la sussistenza di un diritto potestativo del rappresentante sindacale a fruire dei permessi on esclude la possibilità per il datore di lavoro di verificare, in concreto, eventualmente anche mediante attività investigativa
La qualificazione della condotta del dipendente in termini di abuso del diritto appare coerente con l'accertamento della concreta vicenda come operato dalla Corte, venendo in rilievo non la mera assenza dal lavoro, ma un comportamento del dipendente connotato da un quid pluris rappresentato dalla utilizzazione del permesso sindacale per finalità diverse da quelle istituzionali; questo esclude la riconducibilità della condotta alle richiamate norme collettive che puniscono con sanzione conservativa la assenza dal lavoro, la mancata presentazione o l'abbandono ingiustificato del posto di lavoro.
di Francesca Esposito
Fonte normativa