mercoledì, 08 maggio 2024 | 10:39

Detenzione di 6 grammi di eroina: no al licenziamento del lavoratore

La condotta extra-lavorativa del dipendente trovato in possesso di sostanza stupefacente per uso personale, di disvalore sociale minore rispetto a condotta costituente reato, e in assenza di prova di danni all'immagine del datore di lavoro, non giustifica il licenziamento (Cassazione - ordinanza 7 maggio 2024 n. 12306, sez. lav.)

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Detenzione di 6 grammi di eroina: no al licenziamento del lavoratore

La condotta extra-lavorativa del dipendente trovato in possesso di sostanza stupefacente per uso personale, di disvalore sociale minore rispetto a condotta costituente reato, e in assenza di prova di danni all'immagine del datore di lavoro, non giustifica il licenziamento (Cassazione - ordinanza 7 maggio 2024 n. 12306, sez. lav.)

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Il caso

La Corte d'Appello di Bologna, in riforma di sentenza di primo grado, dichiarava l'illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore, assunto come apprendista operaio, a seguito di procedimento disciplinare col quale allo stesso era stato contestato che, in occasione di controllo stradale eseguito dai Carabinieri, sul suo veicolo erano stati rinvenuti sei grammi di eroina, con conseguente denuncia per detenzione di stupefacenti a fini di spaccio.
La Corte riteneva che non vi fosse prova del fine di spaccio, tenuto conto del decreto di archiviazione del GIP del Tribunale di Forlì, in cui si affermava l'infondatezza della notizia di reato, in quanto la sostanza stupefacente sequestrata era da ritenersi per uso personale, ed escludeva la prova di danno all'immagine dell'azienda a seguito della pubblicazione della notizia su quotidiano a diffusione locale, perché avvenuta senza indicazione delle generalità del lavoratore e del datore di lavoro.
Alla luce di tanto i giudici del gravame valutavano la gravità del fatto non tale da giustificare la sanzione disciplinare espulsiva per definitiva lesione del vincolo fiduciario.
Per la cassazione della predetta sentenza ha proposto ricorso la società datrice di lavoro.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le doglianze della società, ribadendo, preliminarmente, l'autonomia della valutazione dei fatti posti a base di contestazione disciplinare in sede giudiziale civile rispetto alla valutazione dei medesimi fatti in sede giudiziale penale, quali condotte integranti o meno fattispecie di reato.
I giudici di legittimità hanno, altresì, richiamato il principio generale secondo cui il giudicato penale non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, attesa la diversità dei presupposti delle rispettive responsabilità; il giudicato di assoluzione, ovvero, come nel caso in esame, il decreto di archiviazione, non determina l’automatica archiviazione del procedimento disciplinare perché, non si può escludere che lo stesso fatto, inidoneo a fondare una responsabilità penale, possa comunque integrare un inadempimento sanzionabile sul piano disciplinare.
Tuttavia, la valutazione dei fatti oggetto di procedimento disciplinare come operata dal giudice penale non è irrilevante, posto che è assai differente il disvalore sociale e giuridico collegato alla detenzione di stupefacenti, anche pesanti, a fini di spaccio o per uso personale, e che la ricostruzione fattuale operata in sede penale è utilizzabile da parte del giudice del lavoro.
La Corte non ha mancato di ricordare, inoltre, che, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie.
Sulla base di tali presupposti, il Collegio ha ritenuto condivisibili le conclusioni della Corte d’Appello che aveva valutato la condotta extra-lavorativa del lavoratore, in sede penale ritenuta non costituente reato, e quindi di disvalore sociale minore rispetto a condotta costituente reato, e in assenza di prova di danni all'immagine del datore di lavoro, non tale da incidere negativamente in via definitiva sullo svolgimento e proseguimento dell'attività lavorativa.

di Chiara Ranaudo

Fonte normativa